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Le prime viaggiatrici

Le prime viaggiatrici donne della storia

Desiderio di conoscere il mondo e una forte curiosità: è questo che ha spinto le donne a superare la paura e le convenzioni sociali degli anni in cui hanno vissuto, anni duri in cui le donne incontravano difficoltà, ostacoli e pregiudizi in molti ambiti della vita quotidiana, anche nel viaggio che fino a inizi del 900, fu solo una prerogativa degli uomini, tanto che, una donna che viaggiava sola, andava contro i costumi e il codice morale dell’epoca. Le prime donne viaggiatrici sono donne tenaci, contribuirono al cambiamento avendo un ruolo fondamentale per il movimento di emancipazione femminile.
I viaggi delle prime donne esploratrici avvennero tra fine 700 e inizi 900, scardinando gli stereotipi più radicati dell’epoca, assumendo un ruolo attivo nella società e affermando la propria autonomia attraverso la capacità di uscire fuori dalla vita casalinga in cui era relegata nella società vittoriana. In questo clima di fermento culturale e sociale, intrapresero i primi viaggi superando difficoltà pratiche e giudizi morali, e durante le loro imprese scrissero diari in cui raccontarono dei paesi che esplorarono lasciandoci una grande testimonianze delle loro avventure.

Jeanne Barè
fu la prima donna, esploratrice francese ad aver compiuto la circumnavigazione del globo a bordo di una nave tra 1766 e 1769. In quel periodo alle donne non era concessa la possibilità di viaggiare sulle navi francesi, così per partecipare alla traversata, Jeanne Barè si travestì da uomo, assumendo il nome di Jean Baret e salendo a bordo come assistente del naturalista Philibert Commerson con cui condivise con grande coraggio il lavoro ed i pericoli del viaggio. Baret visse in una famiglia d’origine povera, ma per qualche ragione la futura esploratrice ebbe modo di ricevere un’istruzione e sapeva leggere e scrivere, una cosa non comune per le donne ai suoi tempi.
Nel 1764 che Baret cominciò a lavorare come governante. Viveva con Philibert Commerson, i due ebbero una relazione da cui nacque un figlio illegittimo, poi dato in adozione. Oltre a occuparsi di faccende domestiche, Baret aiutava Commerson nei suoi lavori di raccolta e classificazione di piante, per questo accumulò una buona conoscenza della botanica dell’epoca. Dopo la morte del compagno, Baret rimase per un po’ a Mauritius. Riuscì a tornare in Francia, e quindi a completare il suo giro del mondo, dopo essersi sposata con un marinaio, Jean Dubernat. Tornando in patria riuscì anche a ottenere l’eredità lasciatale da Commerson.
Nacque il 27 luglio 1740, morì il 5 agosto 1807, a 67 anni. Dei suoi ultimi anni si sa poco, se non che andò a vivere col marito a Saint-Aulaye, un paesino della Dordogna, nel sud-ovest della Francia, e che il re Luigi XVI le fece assegnare una pensione per i suoi meriti di assistente botanica. Molte piante hanno preso il loro nome scientifico da Commerson ma nessuna, nel Diciottesimo secolo, fu nominata a partire da quello di Baret: nel 2012 un gruppo di ricercatori americani ha chiamato una specie del genere Solanum, quello a cui appartengono anche patate e pomodori, Solanum baretiae in suo onore.
Con il suo berretto frigio, il copricapo rosso simbolo di libertà e rivoluzione indossato dai giacobini, e un paio di pantaloni, Jeanne Barè è la prima donna a compiere la circumnavigazione della Terra.
Il suo ricordo riemerge nel 2002 con la prima biografia scritta da John Dunmore e poi ancora nel 2010 nel libro The Discovery of Jeanne Baret di Glynis Ridley.

Amelia Edwards
Amelia Ann Blandford Edwards, nacque a Londra nel 1831 e fu una scrittrice, giornalista, ed egittologa.Scrisse molti romanzi che la resero molto popolare all’epoca, fu una donna molto indipendente, non proveniva da una famiglia ricca e si guadagnava da vivere scrivendo. Viaggiò a lungo e descrisse i luoghi che visitò come l’Egitto, nel libro “A Thousand Miles up the Nile” e visitò e scrisse degli Stati Uniti, nel suo “Pharaohs, Fellahs, and Explorers”.
Un suo splendido racconto di viaggio è “Cime Inviolate e Valli Sconosciute” : nel 1872 Amelia intraprese un viaggio molto avventuroso con l’amica Lucy, che la condusse a visitare le nostre valli Dolomitiche. Le descriverà così bene e spesso preparando dei dipinti ad acquerello così precisi che, a distanza di 150 anni, ancora ne restiamo affascinati. A tal punto che i fratelli Alan e Susan Boyle ne hanno ripercorso il tragitto nel loro libro “Spiriti delle Dolomiti”.
“Le montagne rimangono tuttora inalterate e, grazie ai disegni incantevoli di Amelia e ai suoi squisiti ritratti verbali, abbiamo permesso alle nostre fantasie di viaggiare nel tempo e di immaginare com’era la vita in questo patrimonio mondiale durante gli albori del turismo. La precisione degli scritti di Amelia ci fornisce una testimonianza storica ricca e gratificante. Pagina dopo pagina, crebbe la nostra curiosità su quale fosse stata la sorte dei villaggi che attraversò, delle locande che visitò, delle statue che schizzò e dei quadri che scrutò. In “Spiriti delle Dolomiti” raccontiamo la storia del viaggio della Edwards, includendo alcune delle conversazione svoltesi con i diretta discendenti delle persone che Amelia conobbero. Pur riconoscendo alcuni degli innumerevoli cambiamenti svoltisi nel tempo, siamo rimasti più colpiti dalle cose che non sono cambiate.”
Amelia era molto intraprendente e parlava un buon italiano, tale da permetterle di interagire con la popolazione locale. Era attenta ai dettagli ed era molto precisa nel riportarli e le sue splendide illustrazioni di montagne e paesi ci danno modo di vedere come erano al tempo, quando ancora le fotografie erano rarissime. Tutto questo ci ha permesso di avere un prezioso strumento per ricostruire la vita di quei tempi e i luoghi che ha visitato, quando ancora in queste zone si vedevano pochi viaggiatori e il turismo e l’accoglienza turistica ancora non esistevano e viaggiare era veramente difficile e pericoloso, una vera e propria avventura. Così Amelia descrive la fine della stesura del suo splendido libro, era il 1873, lei e Lucy erano state tra le prime a visitare le Dolomiti e a descriverne le bellezze dopo gli scritti dei primi viaggiatori che le avevano scoperte, quali John Ball e Francis Fox Tuckett.
“Avevo visitato le Dolomiti nell’estate precedente, e non sono tornata in Inghilterra fino all’approssimarsi del periodo natalizio, ed ero rimasta occupata per gran parte della primavera a preparare quel racconto del viaggio intitolato “Cime inviolate e valli sconosciute.” Il tempo scarseggiava verso la fine, perché i miei editori erano impazienti di produrre il volume entro i primi di giugno; e quando è arrivato il momento di finirlo, sono rimasta sveglia tutta una bellissima notte di maggio, finché non ho scritto le parole di addio. Proprio in quel momento, quando, con un sospiro di soddisfazione, ho posato la mia penna, un usignolo errante sul pero fuori dalla finestra della mia biblioteca scoppia a cantare in un fiume di note il cui genere non avevo mai sentito prima e neppure avrei sentito dopo. Il pero era in piena fioritura; il cielo dietro ad esso era blu e sereno; e mentre ascoltavo questa musica inconsueta, non pensai ad altro che se fossi stata uno scriba devoto del medioevo che avesse appena finito un’opera laborioso sulla vita di un santo defunto, inevitabilmente avrei creduto che l’uccello fosse un messaggero spettrale, inviato dallo stesso buon santo per congratularsi con me sull’ultimazione del mio compito.”
Il grande viaggio del 1873 però sarà quello che cambierà il corso della sua vita distogliendola per sempre dall’opera letteraria per dedicarsi all’archeologia. Parte per l’Egitto a Novembre insieme alla solita compagna, nominata sempre e solo con l’iniziale L. Il viaggio inizia al Cairo a bordo di una dahabiyeh, un battello tradizionale che risale il corso del fiume a vela (o a traino quando incontra secche e venti contrari) e lo ridiscende seguendo la corrente. Percorre Mille miglia sul Nilo, che è anche il titolo del diario di viaggio pubblicato nel 1877. Lungo la navigazione visita tutti i grandi siti archeologici e raggiunge Abu Simbel dove il piccolo gruppo – che comprende una coppia e il pittore Andrew McCallum, oltre all’equipaggio egiziano – si ferma per sei settimane scavando e ammirando le meraviglie del luogo.
“Era meraviglioso svegliarsi ogni mattina sotto l’argine ripido e, senza alzare la testa dal cuscino, vedere, così vicina, quella fila di facce gigantesche stagliate contro il cielo. Apparivano già abbastanza sovrannaturali alla luce della luna, ma questo era nulla rispetto a quanto apparivano sovrannaturali nel grigiore dell’alba”.
Il resoconto del viaggio sul Nilo, corredato da disegni e acquerelli, riscuote un enorme successo. All’epoca l’Egitto andava di gran moda e non erano poche le persone che intraprendevano un viaggio come il suo, incluse coppie in luna di miele (come quella con cui viaggia Amelia). Lei però si avventura da sola in un periodo in cui nessuna donna viaggiava senza uno chaperon, specie in zone in cui non era solo socialmente disdicevole ma anche fisicamente pericoloso.
“È un posto meraviglioso in cui stare soli – un posto in cui anche l’oscurità e il silenzio sono antichi, e il Tempo stesso sembra essersi addormentato”.
Prima della costruzione della diga di Assuan, avvenuta negli anni 60 del 900, il Nilo provocava un continuo cambiamento di paesaggio dovuto alle piene e alle secche stagionali. Perciò il suo è il racconto di un Egitto che non c’è più. Visitò anche alcune antiche fortezze ormai sommerse per sempre dall’acqua. Di tanto in tanto aveva la sensazione che tutto ciò che vedeva fosse indicibile:
“In quello straordinario panorama, così selvaggio, così strano, così desolato, non c’era nulla di veramente bello tranne il colore. E il colore era incredibile… l’ambra delle sabbie e le montagne rosa e perlate; le lucide rocce della Cataratta tutte nere e purpuree, le palme grigio smorto… il verde vivido di tamarischi e melograni; il Nilo, di un marrone verdastro chiazzato di schiuma, e sopra a tutto il cielo blu e intenso, pemeato di luce e palpitante di sole. Non feci nessun disegno. Sentii che sarebbe stato ridicolo solo provarci”.
Tocca tutti i siti principiali, da Saqqara a Menfi, da Dendera a Minya, da Tebe a Luxor, e non salta neanche siti minori, anche quelli ancora semi-sommersi dalle sabbie. Risale la Prima Cataratta dopo Assuan grazie agli abili e imperturbabili manovratori arabi che guidano la barca tra le pericolose rocce delle rapide. Poi visita File – che è anche il nome del battello su cui viaggia – e l’area oggi sommersa dal lago Nasser. Giunge ad Abu Simbel, si spinge fino a Wadi Halfa e alla Seconda Cataratta, dunque ricomincia il viaggio a ritroso dalla Nubia all’Egitto, da Elefantina a Edfu, da Esna a Abydos passando per la Valle dei Re e concludendo il viaggio davanti alle piramidi Giza.
“A poco a poco arrivò il tramonto e ogni ombra annidata nei recessi delle scarpate si trasformò in puro violetto; la superficie della roccia brillò di un oro più rossastro, mentre le palme della sponda occidentale svettavano come solido bronzo contro un orizzonte cremisi”.
Racconta paesaggi incantati tra dune cangianti e il fiume d’oro, spaventose tempeste di sabbia e meraviglie architettoniche che lasciano senza parole: “io riuscivo solo a guardare, e a restare in silenzio”. Dipinge, con le parole e con i pennelli, anche le persone che incontra, i bambini a caccia di bakshish (una piccola mancia) e i chiassosi bazar: “per godersi una prima impressione travolgente e indimenticabile della vita orientale all’aria aperta, bisogna cominciare con un giorno nei mercati del Cairo". È capace anche di divertire con il racconto di una disagevole cavalcata sui cammelli:
“…manifestammo l’intenzione di salire sulla cima della collina più vicina per vedere il sole tramontare... i cammelli piantarono ostinatamente i loro piedi piatti nella sabbia, tentarono di tornare indietro e, quando furono obbligati a cedere, ci insultarono per tutta la strada… Mostravano i denti, inspiravano rumorosamente con il naso, sbuffavano, ringhiavano e contestavano ogni passo. Per quanto riguarda il mio (una bestia tonta e sdegnosa con un occhio iniettato di sangue e un malconcio naso aquilino), non ho mai sentito nessun animale muto fare tanto uso di parolacce in vita mia”.
Nel corso del viaggio durato 4 mesi si appassiona agli scavi e si rende conto di quanto una gestione turistica avventata metta a rischio i monumenti antichi. A ciò si aggiungeva anche la rivalità tra inglesi e francesi che depredavano gli scavi in una continua lotta a chi si accaparrava i reperti migliori:
“…le pitture murali che avevamo avuto la gioia di ammirare in tutta la loro bellezza sono già molto rovinate. Questo è il destino di ogni monumento egizio, grande o piccolo che sia. Il turista lo incide tutto di nomi e date, e talvolta di caricature. Lo studioso di egittologia, facendo dei calchi con carta bagnata, lava via ogni traccia del colore originale. Il “collezionista” compra e porta via tutti gli oggetti di valore che riesce a procurarsi; e l’arabo ruba per lui. L’opera di distruzione, nel frattempo, continua veloce. Non c’è nessuno che la impedisca, nessuno che la scoraggi”.
Perciò al ritorno decide di seguire la sua nuova passione per l’archeologia e farsi promotrice della conservazione dei beni egiziani. Nel 1882 insieme a Reginald Stuart Poole del British Musem fonda l’Egypt Exploration Fund, poi diventato Egypt Exploration Society. All’epoca l’egittologia era ancora un campo da pionieri, gli esploratori erano spesso poco professionali, gli studiosi specializzati pochissimi. Amelia studia sodo, impara da sola a i geroglifici e diventa una delle maggiori esperte del campo stringendo collaborazioni con Maspero e Flinders Petrie. In dieci anni diventa una specialista rispettata, scrive sulle riviste accademiche, finanzia scavi.
Sfruttando le sue capacità narrative, tra il 1889 e il 1890 si imbarca in un viaggio lungo 5 mesi negli Stati Uniti per un ciclo di conferenze sull’Egitto che saranno raccolte nel libro Pharaohs, Fellahs, and Explorers. È talmente assorbita dal suo impegno che quando si rompe un braccio poche ore prima di una conferenza chiede un medico che la stecchi perché possa presentarsi all’evento. Diventa anche un’attivista del diritto di voto alle donne sostenendo con decisione il movimento delle suffragette, partecipando alla prima rivista femminista English Woman’s Journal e diventando anche vice-presidente della Society for Promoting Women’s Suffrage. Riceve tre lauree honoris causa in America e una pensione in Inghilterra per i servizi resi alla letteratura e all’archeologia. La sua inesauribile energia subisce un duro colpo quando la compagna muore nel 1892. Avevano condiviso ogni viaggio e la vita per quasi 30 anni. Pochi mesi dopo, il 15 Aprile, anche Amelia se ne va per le conseguenze di una grave influenza. Dona all’University College di Londra la sua collezione di antichità egizie e un lascito per l’istituzione della prima cattedra in egittologia.

Isabella Bird
nata in Inghilterra - 1831-1904 - fu la prima scrittrice donna ad essere stata ammessa alla Royal Geographical Society , nata con lo scopo di promuovere la ricerca geografica.
Esploratrice instancabile, intraprese un viaggio attraverso gli Stati Uniti a bordo del suo cavallo chiamato Birdie con il quale attraversò le impervie Montagne Rocciose del Nord America, tornata in patria raccontò dei suoi viaggi avventurosi in una serie di libri che la resero famosa in tutto il mondo.
“Ho la libertà e tu sai quanto mi piace! […] Cosa sarebbe la mia vita solitaria senza di essa?”
Isabella Bird si sentiva come se la sua “vita fosse trascorsa nell’occupazione davvero ignobile di prendersi cura soltanto di se stessa e che, a meno che non accadesse qualche cosa d’incisivo che creasse un’ azione di disturbo, sentiva che rischiava di diventare incrostata d’egoismo.” Le aspettative delle donne in epoca vittoriana erano limitate, e gli slanci di qualsiasi tipo repressi, si ammalavano frequentemente e anche Isabella Lucy Bird era malata fin dall’infanzia, avvolta in una confortevole e, al tempo stesso, soffocante esistenza rispettabile; soffrì fin da giovane di terribili dolori alla schiena, che la inchiodarono a letto per anni. Isabella aveva iniziato da piccola a cavalcare, assieme al padre che si sincerava di istruirla sui classici e sulla Bibbia. Vista la sofferenza, quando aveva 19 anni, il padre la fece sottoporre a un intervento chirurgico: le rimossero un tumore alla colonna vertebrale. Ma anche dopo l’intervento la cattiva salute proseguì: aveva lunghi periodi di insonnia e depressione. I medici allora le raccomandarono un viaggio per mare e il padre acconsentì a pagarle un soggiorno negli Stati Uniti, a casa di parenti. Questo sarà il primo di molti suoi viaggi. Isabella Bird diventerà infatti una scrittrice e una fotografa di viaggio, le sue intrepide avventure arrivarono nelle case degli inglesi; lei riuscì a portare l’esplorazione nella vita delle persone comuni, in un momento in cui le donne viaggiavano raramente, e certamente non in modo indipendente.
Girerà il mondo da sola, dalla Corea alle Hawaii, dal Giappone al Colorado, vestita sempre con abiti che le consentivano di muoversi e cavalcare in libertà, esattamente come gli uomini, ma senza dare scandalo: con pantaloni alla turca, casacca e sopra a tutto un abito hawaiano colorato. Ad ogni viaggio si rafforzerà. Avrà problemi di salute per tutta la vita tranne nel corso dei suoi viaggi. Isabella prese lentamente consapevolezza del suo grande potenziale femminile e capì che, quando s’impediva alle donne di esprimerlo, le donne diventavano un pericolo per se stesse. Anni dopo scrisse: “Dovrò sempre in futuro, come in passato, contrastare la debolezza costituzionale con un lavoro serio e cercando di prendermi cura di me nell’interesse degli altri“.
La sua prima esperienza di liberazione avvenne nel 1854, quando andò nel Nord America per stare con i cugini, nella speranza che il cambiamento di ambiente sarebbe stato positivo per la sua salute. Il padre sovvenzionò il viaggio con una somma di 100 sterline che consentirono a Isabella di rimanere diversi mesi negli Stati Uniti e nel Canada orientale. Al termine del viaggio scrisse il suo primo libro, The Englishwoman in America, pubblicato anonimo nel 1856, che ebbe subito un grandissimo successo. Diciotto anni dopo Isabella è diventata un’altra donna, quella che voleva e doveva essere da sempre, pronta per un’altra spedizione molto più ambiziosa. Viaggerà infatti per il mondo, dalle montagne rocciose del Canada e degli Stati Uniti fino in Persia, Turchia, Marocco, Giappone, Manciuria e diventerà la prima donna nella storia nominata membro della Royal Geographic Society. I suoi report di viaggio e le sue fotografie sono di straordinario interesse. Aveva 41 anni quando, non sposata e del tutto disinteressata al matrimonio, partì da sola per i viaggi che la portarono in Australia, nelle Hawaii e nella costa del Pacifico dell’America. L’Australia però non le piacque, mentre le isole Hawaii (allora conosciute in Europa come isole Sandwich) le piacquero al punto da divenire il soggetto del suo secondo libro, The Hawaiian Archipelago. Durante la sua permanenza trovò il modo di scalare il vulcano Mauna Loa e di rendere visita alla Regina Emma Kaleleonalani, della quale tratteggiò alcuni cenni nel suo libro. Sempre purtroppo afflitta dai suoi dolori, si trasferì in Colorado, all’epoca lo stato più recente degli Stati Uniti, della cui aria aveva sentito elogiare le virtù terapeutiche. Dal 1869 la California era collegata per ferrovia alla costa orientale, ma Isabella si spinse fino a Truckee nella Sierra Nevada e raggiunse Denver, dove la ferrovia finiva. Si ritrovò nel tumulto di una città mineraria appena messa in piedi e si fece strada coraggiosamente nelle strade affollate, tra cercatori d’oro ubriachi e giocatori d’azzardo. Comprò un cavallo per andare da sola a Lake Tahoe, andando a cavalcioni, in un vestito che aveva appositamente adattato allo scopo – anche se nessuno a Truckee si preoccupava molto di questo passo rivoluzionario. Tahoe, con la sua “brillantezza di cielo e atmosfera” e “elasticità dell’aria” e un incontro pericoloso con un orso, non la deluse affatto, anzi fu solo un preludio.
La sua avventura più inaspettata fu Estes Park, nel Front Range delle Montagne Rocciose a nord-ovest di Denver, dove la ferrovia terminava. Estes Park era unicamente natura selvaggia, a malapena abitata da esseri umani ma ricca di fauna selvatica. Nel 1873 percorse circa 800 miglia nelle Montagne Rocciose. Le sue lettere alla sorella, già pubblicate nel periodico Leisure Hour, costituiranno il suo quarto e probabilmente più celebre libro, . In Colorado, Isabella rimase affascinata da Jim Nugent, un pittoresco personaggio dal passato poco limpido, del quale scrisse alla sorella: “è l’uomo di cui ogni donna si innamorerebbe ma che nessuna donna sana di mente sposerebbe mai”. Trascorse mesi nelle Montagne Rocciose e, una volta, a corto di soldi, si guadagnò da vivere cucinando e pulendo i cavalli dei cow-boys. Le piaceva lavorare. Il lavoro la faceva sentire se stessa, indipendente e appagata. “Ho pulito il salotto e la cucina, lavato, cotto e poi ho preparato 4 libbre di biscotti dolci e li ho infornati, dopo di che ho dovuto pulire tutte le mie lattine e le mie pentole e fare la mia stanza e trasportare l’acqua“. La sua volontà di lavorare era, in un certo senso, un passaporto per la sicurezza. Gli uomini chiaramente non si sentivano minacciati da lei, e lei conservava la sua fiducia nell'”abitudine alla cortese cortesia verso le donne” che credeva caratterizzasse la frontiera. Era spesso sola quando viaggiava sulle Montagne Rocciose e molto spesso, mentre era sola, veniva colta da un senso di solitudine, isolamento e vulnerabilità. Una volta in particolare quando, inghiottita da una tempesta di neve, la tormenta cancellò la pista e si trovò davvero in grande difficoltà. Scrivera di questa esperienza: “Non posso descrivere i miei sentimenti su questa cavalcata, prodotta dalla totale solitudine, il silenzio e la stupidità di tutte le cose, la neve che cade silenziosamente senza vento, le montagne cancellate, l’oscurità, il freddo intenso e l’aspetto insolito e spaventoso della natura.” In un’altra occasione, quando perse la sua strada, scrisse: “Mi sentivo molto lugubre e decisi di arrancare per farmi guidare tutta la notte dalla stella polare … era macabra“. Pane da forno per cowboy, un raccapricciante viaggio nella notte – ben lontano dai salotti di Edimburgo, ma entrambi, in modi diversi, un modo per salvarsi. Quando Isabella tornò in Scozia non ritornò più alla passiva esistenza borghese in cui era cresciuta. Mise in piedi una campagna in favore degli abitanti delle baraccopoli e dei croft; lavorò alla stesura del libro tratto dalla corrispondenza di viaggio tra lei ed Henrietta, era irriducibile, ma i vecchi sintomi di nevralgia e depressione tornarono. Così, nonostante avesse viaggiato moltissimo, comprese che il rimedio per lei era nel viaggio. Salpò per il Giappone. Il resoconto delle sue esperienze, riportato in Unbeaten Tracks in Japan (1880), descrive crudamente lo squallore primitivo, la sporcizia, le malattie, il cibo miserabile, i ratti, le zanzare incontrati nelle aree più remote. Il suo editore, John Murray, cercò di convincerla a rendere più “morbide” le sue descrizioni. Dopo la morte di Henrietta e dopo aver sposato il dott. Bishop, che l’aveva in cura, ripartì. Resterà in viaggio per la maggior parte del resto della sua vita: Tibet, Persia, Kurdistan, Corea, Cina. Non viaggiò sola qui, ma con guide o spedizioni, perché erano paesi pericolosi, anche per gli uomini. Isabella sentiva che viaggiare sotto scorta comportava “un certo abbandono della mia libertà” e avrebbe preferito viaggiare da sola, ma accettò la necessità della protezione. Il viaggio da Baghdad a Teheran fu il peggiore di tutti i suoi viaggi. Incontrarono bufere di neve sulle montagne a est di Kermanshah, a dorso di mulo, avvolta in diversi strati di lana, tre paia di guanti, pelle di pecora, un mantello di pelliccia attraversò la tempesta.
Quando nel 1892 Isabella Bird fu la prima donna eletta della Royal Geographic Society, nonostante l’opposizione di numerosi membri, in una lettera al Times, il 30 maggio 1893, Lord Curzon scrisse: “Ci opponiamo alla capacità generale delle donne di contribuire alla conoscenza geografica scientifica. Il loro sesso e la loro formazione le rendono inadatte per l’esplorazione, e la femmina giramondo per noi è uno degli orrori della fine del XIX secolo. Un orrore, una minaccia per le istituzioni stabilite, per il tessuto della società. L’idea che la figlia di un parroco vada nel deserto in compagnia di un ruffiano con un occhio solo, oppure calvalchi uno yak, o rischi l’annegamento mentre attraversa un fiume in Ladakh, oppure ancora si faccia strada, ormai sessantenne, verso il fiume Yangtze, mette a repentaglio le ipotesi fondamentali sul ruolo delle donne. In che modo tali attività riflettono sulle aspirazioni e le aspettative degli uomini? E Isabella Bird, piccola di statura e silenziosamente convenzionale in apparenza, non solo ha fatto queste cose ma ne ha anche scritto. Ha pubblicizzato la sua sfida.”
In seguito a questa lettera quindici donne che erano state scelte con Isabelle non vennero più elette. Nel 1894 lasciò nuovamente l’Inghilterra diretta in Giappone e poi in Corea dove rimase diversi mesi e che poi dovette lasciare per lo scoppio della prima guerra sino-giapponese. Si recò in Manciuria, dove a Mukden scattò alcune fotografie di soldati diretti al fronte. Possiamo considerarla una delle prime reporter di guerra. Tornò in Corea per documentare la devastazione della guerra. Nel 1896 risalì con un sampan il fiume Yangtze fino alla provincia del Sichuan, dove venne imprigionata dalla folla in una casa che poi venne data alle fiamme. Si salvò in extremis grazie all’intervento di un distaccamento di soldati. Si diresse verso le montagne al confine col Tibet e nel 1897 fece ritorno in patria dove scrisse il libro The Yangtze Valley and Beyond pubblicato nel 1900. Nel 1897 mentre era in Corea scrisse a un amico: “ Ho la libertà e tu sai quanto mi piace! […] Cosa sarebbe la mia vita solitaria senza di essa? “
Il suo ultimo viaggio fu in Marocco, nel 1901. Al ritorno si ammalò e morì a Edimburgo il 7 ottobre del 1904.

Annie Smith Peck
americana Annie Smith Peck fu la più grande alpinista di tutti i tempi, la sua ultima scalata fu quella del Mount Madison, nel New Hampshire. Aveva 82 anni. Giovanissima si trasferì in Europa, per intraprendere gli studi universitari in Archeologia, fu la prima donna ad essere ammessa alla Scuola Americana di Studi Classici in Grecia, durante il suo soggiorno in Europa scoprì la passione per la montagna, da questo momento ebbe inizio la sua attività di alpinista. Durante le sue avventure incontrò molte difficoltà, come quella di un abbigliamento inadeguato, che la portarono a sfidare le convenzioni dell’epoca, infatti Annie Smith Peck fu la prima donna a scalare il Cervino in Svizzera indossando pantaloni sotto una lunga tunica.
Nel 1908, a 58 anni d’età raggiunse la vetta del Monte Huascaran (6768 m) in Perù e fu la prima donna a raggiungere la cima di una montagna prima di un alpinista di sesso maschile. Realizzò la sua ultima scalata di 5.636 piedi del Mount Madison nel New Hampshire, all’età di 82 anni!
Durante la sua intensa vita scrisse molti libri dedicati alle sue passioni l’archeologia, l’alpinismo e i viaggi, morì nel 1935, all’età di 84 anni.
Annie nasce nel 1850 a Providence, Rhode Island. La mamma, di cui porterà con sé il cognome su ogni vetta, Ann Power Smith, sposa George Bacheler Peck, avvocato e membro del consiglio comunale della città, ha 5 figli di cui lei è la più piccola. Sua sorella Emily muore ancora bambina, quindi Annie cresce con i fratelli maschi, George, William e John; sin da piccola le rendono chiaro che non vogliono giocare con lei perché è una femmina. Ma non sanno ancora bene chi hanno davanti: una tipa tosta che non si arrende, che non accetta mai ‘no’ come risposta, non vuole restare indietro, mai. Una volta diplomatasi alla Rhode Island Normal School, non si accontenta di essere solo un’insegnante, una delle poche carriere concesse allora a una donna, ma desidera iscriversi alla Brown University come hanno fatto sia il padre che i suoi fratelli. L’università però la rifiuta proprio perché è una donna. Ha già 27 anni non accetta le discriminazioni e si trasferisce a Saginaw, nel Michigan, intenzionata a mantenersi da sé. Trova impiego come precettrice alla locale scuola superiore dove insegna lingue e matematica rimanendovi fino al 1874. In una lettera al padre Annie scrive che intende ricevere la stessa educazione dei suoi fratelli e non intende rinunciare ai suoi sogni. In quello stesso anno si iscrive alla University of Michigan, che solo tre anni prima ha aperto le porte alle donne. Si laureerà in lingue classiche nel 1878 e nell’81 si specializzerà in greco antico. Nel 1884, dopo alcuni anni di insegnamento si trasferisce in Europa per intraprendere gli studi universitari in Archeologia. È la prima donna ad essere ammessa alla Scuola Americana di Studi Classici in Grecia. Proprio in Europa scopre la passione più grande, quella per la montagna. Da qui ha inizio la sua attività di alpinista.
Per cominciare scala Capo Miseno in Italia, poi il passo del Teodulo in Svizzera e l’Imetto in Grecia “L’unico vero piacere è la soddisfazione di andare dove nessun uomo è stato prima e dove pochi potranno seguirti”. E’stata la prima donna a scalare il Cervino in Svizzera, indossando pantaloni sotto una lunga tunica. Furono molte le difficoltà che incontrò e che la portarono a sfidare le convenzioni dell’epoca, come ad esempio il suo abbigliamento fuori dalla norma sociale. Inaudito per quell’epoca che una donna non scalasse con una gonna. La polemica raggiunse le prime pagine dei giornali. Sul New York Times s’avviò un dibattito su cosa le donne potessero fare e cosa potessero aspirare a diventare. La sua mise, che personalizzò per essere comoda nei movimenti, comprendeva: una tunica lunga ai fianchi, pantaloni ampi, calzettoni di lana, robusti stivali di cuoio e un cappello di feltro assicurato con un velo. E visto che l’abbigliamento da montagna esistente era concepito per gli uomini, disegnò e si fece fare su misura i propri stivali.
La montagna la rapì completamente e nessuno la staccò più da questo suo grande amore. Voleva “conquistare una vetta vergine per raggiungere un’altezza a cui nessun uomo si è mai trovato”. Iniziò a scalare praticamente quasi senza sosta. Nel 1897 sfidò i 5.610 metri del Pico de Orizaba e i 5.426 del Popocatepetl in Messico. L’ascesa dell’Orizaba fu al tempo la scalata più alta mai compiuta da una donna. Per l’ascesa del Popocatepetl venne finanziata dalla stampa. Ma il suo apice, nel vero senso, lo raggiunse a 58 anni. Mentre per noi a quest’età si parla di menopausa, lei a quasi sessanta e senza ossigeno fu la prima in assoluto a conquistare i 6.768 metri dell’Huascaran. Era il 1908 e raggiunse la vetta del Monte Huascaran prima di qualsiasi alpinista di sesso maschile. Ma non fu facile, prima di riuscirci ci provò per ben cinque volte, non aveva l’equipaggiamento adatto e procurarselo costava moltissimo. Gli uomini avevano più mezzi e più risorse, lei vestiva del suo coraggio e della sua tenacia.
Quando, nel Settembre del 1904, arrivò per la prima volta nel villaggio di Yungay, ai piedi della montagna, gli abitanti erano stupefatti da questa donna dai capelli grigi convinta di poter scalare la minacciosa cima alle loro spalle. Le dissero che era impossibile. Che nessuno lo aveva mai fatto prima. Lei rispose che ci avrebbe provato comunque. D’altronde, pensava, se Henriette d’Angeville aveva scalato la vetta del Monte Bianco nel 1838 solo con una corda, un bastone e per di più intabarrata come la donna Michelin, anche lei poteva farcela in questa impresa. Così ci provò una volta, due volte, tre volte.
I portatori e le guide ai primi crepacci si tirarono indietro. Annie proseguì come poteva, da sola, e alla fine dovette arrendersi. Per tutta la vita aveva dovuto fare i conti con i pregiudizi di genere, con equipaggiamenti pensati solo per gli uomini e le battute sessiste degli scalatori maschi, che quando non la sbeffeggiavano si coalizzavano in veri e propri sabotaggi delle sue scalate. Nei vari tentativi di ascesa del Monte Huascaran venne investita da una tempesta, ricattata dai portatori che volevano più soldi e che “dimenticarono” l’attrezzatura fotografica. In seguito una delle guide sofferente per l’altitudine abbandonò la spedizione, gli zaini con il cibo e la stufa portatile sparirono in fondo a un precipizio. Ci riprovò ancora e fu al sesto tentativo che ce la fece, Annie non accettò un no come risposta, neanche dalla montagna. Scendere fu un “terribile incubo”, scivolò sei volte rischiando di rompersi l’osso del collo e restò senza acqua. Alla fine tornò sana e salva. “Sin da ragazzina ho deciso che avrei fatto tutto quello che una donna può fare per dimostrare che le donne hanno tanto cervello quanto gli uomini e possono fare le stesse cose se vi si dedicano completamente”.
Annie Smith Peck portò il suo messaggio in capo al mondo: nel 1911 scalò il Coropuna, sempre in Perù, e in vetta piantò una grande bandiera, sopra a lettere cubitali c’era scritto: Votes for Women.
Partì col suo baule, nel 1929 decise d’intraprendere uno stupefacente viaggio aereo, durato 7 mesi, per dimostrare che i nuovi voli commerciali tra Panama e le città del Sudamerica erano sicuri. Era affascinata dal cielo da quando aveva incontrato nel 1903 a New York i fratelli Wright. Nell’arco dei 32.000 km percorsi toccò tutti i paesi sudamericani a parte il Venezuela. Parlando di Lindenberg disse:“Deve pur sapere che ho raggiunto a piedi vette più alte di lui sul suo aereo”. Ma lui non volle mai incontrarla.
Questa donna meravigliosa scalò tutta la vita, affamata si cibava di coraggio e determinazione, non perse mai di vista i suoi sogni. Scalò, viaggiò, volò, col suo baule di curiosìtà e stupore. Per tutta la sua esistenza.

Nellie Bly
reporter americana è nota per aver intrapreso il giro del mondo in 72 giorni, da sola senza un accompagnatore, visitando l’Europa, Giappone e Cina. Per il suo viaggio si ispirò a Phileas Fogg, protagonista del romanzo di Jules Verne Il giro del mondo in 80 giorni.Durante il suo lavoro da reporter si dedicò a documentare le condizioni degli indigenti e delle donne in fabbrica e terribili condizioni in cui venivano trattate le pazienti nell’ospedale psichiatrico e le condizioni di lavoro delle domestiche. Nel 1998 è stata inserita nel National Women’s Hall of Fame, un’istituzione americana che ha come obiettivo quello di onorare le donne che si sono distinte in diversi campi come le arti, la scienza, l’atletica.
L'incredibile storia di Nellie Bly parla di coraggio e di audacia, ma anche di voglia di cambiare il mondo, di essere parte attiva di una rivoluzione che avrebbe dovuto condurre ad un'emancipazione femminile che all'epoca sembrava ancora lontanissima. Elizabeth, questo il suo vero nome, fu la prima giornalista d'inchiesta al mondo, arrivando addirittura a porre le basi per un nuovo tipo di giornalismo, quello sotto copertura.
Quando migliaia di suffragiste marciarono a Washington DC nel marzo del 1913 per rivendicare il diritto di voto e denunciare l’esclusione delle donne dalla politica, Nellie Bly fu una delle poche giornaliste a documentarlo dal vivo. All’epoca Bly era una corrispondente del New York Evening Journal ed era già da tempo una delle giornaliste americane più conosciute. Fu una delle prime a fare inchieste sotto copertura negli Stati Uniti e oggi è considerata tra i pionieri del giornalismo investigativo. Fu proprio lei, con un'investigazione che la condusse all'interno di un manicomio femminile, a promuovere solamente con la sua penna un vero cambiamento nelle condizioni delle donne "recluse" - perché sì, tramite il suo lavoro d'inchiesta scoprì che le pazienti venivano trattate alla stregua di prigioniere. Nellie fu però molto di più di una semplice giornalista: si fece carico di moltissimi problemi femminili, ma fu anche l'autrice di un'impresa memorabile, quella che la spinse a rendere vera la fantasia di Jules Verne raccontata ne Il giro del mondo in 80 giorni. Fu soprattutto apprezzata – e in qualche caso osteggiata – per il suo interesse per temi come la povertà, la corruzione e la condizione delle donne, e per aver condotto inchieste senza precedenti, come quella in cui si finse malata per intrufolarsi in un ospedale psichiatrico di New York. Nata a Cochran's Mill (Pennsylvania) il 5 maggio 1864, Elizabeth Jane Cochran trascorse la sua infanzia in ristrettezze. Tredicesima di ben quindici figli, suo padre (un importante giudice e uomo d'affari) morì quando lei aveva solamente 6 anni. Le condizioni economiche della sua famiglia divennero ben presto estremamente precarie, anche a seguito del successivo matrimonio di sua madre con un uomo violento e alcolizzato. Cresciuta in un'atmosfera del genere, sin da giovanissima Elizabeth sviluppò un carattere determinato e oppositivo: forse proprio da qui ebbe origine il suo desiderio di rivoluzionare la condizione della donna. Non potendo permettersi di studiare, per via delle ristrettezze finanziare, lasciò ben presto il nido materno per trasferirsi a Pittsburh e cercare lavoro come insegnante. Fu invece una lettera, inviata al principale quotidiano locale, a fornirle l'occasione per intraprendere una carriera di successo. I suoi primi passi nel mondo del giornalismo sono con George Madden, direttore del Pittsburgh Dispatch, che rimase molto colpito dalla risposta di una giovane ragazza al suo articolo, tanto da offrirle la possibilità di scrivere per il suo giornale. Così Elizabeth ebbe la possibilità di mostrare il suo talento, affinato grazie ad un amore per la scrittura che coltivava sin da piccina. Fu proprio Madden a trovarle uno pseudonimo: la giovane divenne Nellie Bly, una delle firme più importanti del giornalismo dell'800. La sua carriera fu da subito brillante. Nellie decise di dedicarsi immediatamente al giornalismo investigativo, diventando una vera pioniera nel settore. In un primo momento si dedicò alle terribili condizioni di lavoro delle donne nelle fabbriche, quindi si trasferì in Messico per trattare lo spinoso argomento delle condizioni sociali del Paese sotto un governo quasi dittatoriale. La Bly finì tuttavia nella storia principalmente per un'inchiesta sotto copertura che si rivelò per lei davvero scioccante. Trasferitasi a New York per cercare di avanzare nella propria carriera, incontrò Joseph Pulitzer. Proprio a lui propose un servizio sulle condizioni delle donne rinchiuse nel reparto femminile dell'ospedale psichiatrico della città. Fingendosi pazza, ottenne di essere ricoverata nel manicomio per poter testimoniare in prima persone su ciò che accadeva all'interno delle sue mura. E ciò che scoprì fu devastante: "una trappola umana per topi", ebbe modo di definirlo, un luogo in cui le pazienti venivano trattate in maniera terrificante. Ne uscì un’inchiesta che mostrava la gravissima situazione in cui erano costrette a vivere le pazienti, intitolata “Ten days in a mad-house” (Dieci giorni in un manicomio), che uscì a puntate sul New York World nell’ottobre del 1887 e successivamente in un libro. Inoltre, Nellie scoprì che, accanto a donne davvero malate psichiatriche, erano ricoverate anche persone sanissime, ma appartenenti a classi sociali disagiate. Solo grazie all'intervento del suo giornale, la Bly riuscì ad uscire dal manicomio. Quindi diede alla stampa il suo servizio, che smosse le coscienze e fu il promotore di un miglioramento delle condizioni delle pazienti psichiatriche. La sua avventura in manicomio non fu l'unica impresa cui Nellie Bly si dedicò nel corso della sua carriera giornalistica. Negli anni seguenti divenne protagonista di un giro del mondo a dir poco incredibile, sulla scia di quel celebre romanzo di Jules Verne pubblicato solo pochi anni prima. Così, nel 1889 partì per un viaggio lungo oltre 40mila chilometri, che la condusse a circumnavigare il globo terraqueo. La sua iniziativa la rese famosa in tutto il mondo: Nellie compì il giro in appena 72 giorni, stabilendo un vero e proprio record. Ma questo viaggio fu anche un grande passo avanti verso l'emancipazione femminile. Nellie decise infatti di partire da sola, prima donna a compiere un'impresa del genere senza essere accompagnata da un uomo. Dopo questa avventura, la Bly scelse di lasciare il giornalismo e dedicarsi alla vita familiare. Sposò Robert Seaman, un importante uomo d'affari, e alla sua morte cercò di portare avanti le sue aziende. Tuttavia non ebbe alcun successo, così tornò alla sua più grande passione. Trasferitasi in Europa poco dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, divenne la prima corrispondente di guerra femminile. Nellie si concentrò sulla sua attività di giornalista fino al giorno della sua morte, avvenuta il 27 gennaio 1922 all'età di appena 57 anni, a causa di una polmonite. Grande esempio di donna coraggiosa, vera pioniera in un mondo che fu per secoli quasi interamente maschile, Nellie Bly ci ha regalato una nuova concezione di intendere il giornalismo. Fu di ispirazione per moltissime altre donne che seguirono le sue orme, lungo una scia ben tracciata.

Gertrude Bell
fu un’archeologa, scrittrice, diplomatica e esploratrice britannica, in seguito al suo primo viaggio in Palestina nacque il suo amore per il Medio Oriente e tra il 1905 al 1913 fece ben 5 spedizioni visitando Damasco, Gerusalemme, Beirut, la Palestina, l’antica Mesopotamia. Funzionaria dell’Arab Bureau, ai tempi del dominio britannico, ebbe come obiettivo quello di rendere il paese ben amministrato, non corrotto, con una giustizia e una sanità efficienti. Sostenne una serie di rapporti con i popoli del Medio Oriente orientati al rispetto e al raggiungimento di una graduale indipendenza politica ed economica, tanto che svolse un’attività segreta di sostegno della Rivolta Araba, dando supporto a Lawrence d’Arabia, durante la prima guerra mondiale. Il suo successo politico maggiore è stata la creazione del moderno Iraq, il cui governo fu affidato al suo caro amico il re Faisal, che riuscì a dare al Paese un governo efficiente assicurando all’area un clima di tranquillità per molti anni. Sulle vicende della sua vita esiste un film del 2015 La Regina del Deserto Link. Nata nel 1868 da una ricca famiglia di industriali inglesi, la sua educazione prevedeva lo studio di materie come il pianoforte e il ricamo. Pratiche estremamente noiose per uno spirito libero come il suo, affascinato dall’avventura. Quasi come se avesse potuto vedere in anticipo la sua storia, Gertrude Bell spezzò quel destino, diventando una scrittrice, un’instancabile viaggiatrice, una fotografa, una personalità politica di rilievo e perfino una spia al servizio della Regina. Lavorò a stretto contatto con Lawrence d’Arabia, svolgendo un ruolo determinante nella Prima Guerra Mondiale. Ha rappresentato a suo modo l’altra faccia della medaglia dell’agente segreto britannico, sfruttando i suoi contatti e agendo nelle retrovie come un collante fondamentale per tutte le tribù arabe che decisero di unirsi alla rivolta contro l’Impero Ottomano. A sedici anni aveva già le idee chiare: chiese e ottenne di smettere con lo studio della musica e pretese di essere iscritta al Lady Margaret Hall di Oxford, dove si diplomò a pieni voti. Nel suo futuro non c’era granché spazio per quei salotti dell’alta società inglese che cominciò a frequentare nel 1891, schivando proposte di matrimonio e attirandosi le antipatie dei suoi coetanei. La descrivevano come fredda, distante, annoiata. Il fatto era che lei stava già studiando un piano per evadere. E quel piano aveva un nome e un cognome: Sir Frank Lascelles, ambasciatore britannico a Teheran, suo zio. Nel 1892 suo padre le accordò il permesso di raggiungere lo zio in Persia. Una vacanza, aveva pensato lui, non può certo farle del male. Solo che Gertrude Bell non aveva in mente solo una vacanza e segretamente aveva già studiato il persiano, l’arabo e anche un po’ di francese. Arrivata a Teheran vide per la prima volta il deserto e ne restò folgorata. Il suo fu un vero e proprio colpo di fulmine, un amore che descriverà con passione nel libro “Persian Pictures”: “La prima alba dopo una notte nel deserto è un ricordo indimenticabile: è come aprire gli occhi in un opale e, dopo aver visto uno spettacolo simile, posso anche morire tranquilla”.
Persa nelle preziose sfumature del deserto colpito dalla luce dell’alba, Gertrude Bell capì di essere pronta a voltare pagina e a iniziare una nuova vita. Lontana dall’Inghilterra, lontana dalle convenzioni sociali, dagli obblighi, da quella “verità universalmente nota” che la voleva signorina per bene a godere dei lussi dell’alta borghesia inglese. Gli anni successivi furono un vero e proprio susseguirsi di eventi incredibili. Gertrude Bell cominciò a viaggiare intorno al mondo: Messico, Stati Uniti, Giappone, Cina e poi ancora Grecia (dove si appassionò di mitologia e archeologia), Turchia e Italia. Tornò ovviamente al suo grande amore, il Medio Oriente, prima come ospite di alcuni amici di famiglia, i Rosen, poi in solitaria visitando la Siria e il Libano. Nei primi anni del 900 acquisì una certa padronanza della fotografia e immortalò siti come Petra, Baalbek e Palmyra, prese appunti e raccontò i suoi viaggi a tutto l’Occidente nel suo “The Desert and the Sown”. Incontrò le tribù arabe, ne imparò le usanze, i nomi, conobbe i loro capi. Prese lezioni di cartografia, studiò l’ebraico e perfezionò il suo arabo. Passava le notti a conversare davanti al fuoco con i beduini del deserto.
Pochi anni dopo era già diventata una figura mitica. I beduini si riferivano a lei come “El Khatun”, la signora del deserto. Costruire quello status fu un’operazione complessa e pericolosa. Durante una delle sue prime spedizioni, la carovana fu presa di mira da un gruppo di predoni che minacciarono di portarle via tutto. Uno dei banditi però si ricordò di lei, di quella signora che appena pochi mesi prima aveva trattato con il capo della sua tribù offrendogli doni, pellicce e gioielli. Gertrude capì in fretta che mostrarsi come una ricca signora le permetteva di essere rispettata. Per questo viaggiava con numerosi servitori, un enorme bagaglio (tra cui una vasca da bagno portatile) e una kefiah azzurra, montando cavalli e cammelli con fierezza, come fosse un uomo. Era una figura inconfondibile.
Nel 1916 fu convocata dall’Arab Bureau de Il Cairo, un’agenzia istituita dal governo inglese per coordinare le azioni britanniche durante la Grande Guerra e affrontare l’impero ottomano, che nel 1914 si era alleato con l’impero tedesco. Assieme a lei c’era anche un altro personaggio indimenticabile, T.E. Lawrence, che verrà ricordato come Lawrence d’Arabia. Alla Bell fu riconosciuto il grado di ufficiale, era la prima donna dei servizi militari inglesi ad ottenerlo. Le sue conoscenze, la sua esperienza come cartografa e la perfetta padronanza del farsi e del turco non passarono inosservate all’intelligence britannica. Come un esperto marinaio, era lei l’unica in grado di viaggiare verso Baghdad attraverso vie sicure. Nelle pagine di “From Amurath to Amurath: the Near East”, scriverà: “Viaggiare nel deserto è, per un certo aspetto, stranamente simile a viaggiare in mare” .
Dopo essere stata nominata Segretaria per l’Oriente a Baghdad, nel 1921 fu convocata da Winston Churchill a Il Cairo. Gertrude Bell era una figura chiave tra tutti i maggiori arabisti del momento, e fu chiamata a decidere il destino dei territori appartenuti all’impero Ottomano dopo la Prima Guerra Mondiale. Esiste una foto che ritrae quell’occasione e la Bell è l’unica donna nello scatto: in piedi, in seconda fila, poco dietro Churchill. Insieme a lei ovviamente c’è anche Lawrence, che ha avuto maggiore visibilità nel suo ruolo di leader della cosiddetta “rivolta araba”. Il lavoro della signora del deserto però era stato ancora più cruciale: fu lei, grazie alle sue conoscenze, ad agire stimolando l’adesione delle tribù alla rivolta.
La Bell partecipò al disegno dei confini del neonato stato dell’Iraq, ne preparò la Costituzione prevedendo un modello di stampo inglese, con Parlamento, istituzioni civili e un sistema giudiziario. Fu riconosciuta come la “madre inglese” dell’Iraq, costruito assemblando le ex province ottomane di Bassora, Mosul e Baghdad. Proprio a Baghdad Gertrude Bell fondò il Museo Archeologico, per salvaguardare e custodire nel loro luogo d’origine le testimonianze delle culture che aveva tanto amato durante i suoi viaggi, e istituì le prime scuole musulmane femminili. Visse qui dopo la Guerra fino alla sua morte nel 1926, lasciando il suo ingente patrimonio in eredità proprio al Museo. Ai suoi funerali partecipò una folla degna di un capo di Stato. Alla sua famiglia arrivarono lettere di cordoglio dai più alti funzionari arabi e persino dal Re inglese. Il suo corpo è sepolto nel cimitero inglese di Baghdad, vicino al deserto che ha amato per tutta la vita e che le ha regalato quella libertà tanto agognata. Sebbene la sua figura abbia avuto meno spazio nell’immaginario collettivo rispetto a quella di Lawrence D’Arabia, la sua storia è stata recentemente portata al cinema da un grande regista come Werner Herzog, che ne ha tratteggiato un ritratto eccezionale nel film Queen of the desert.

Alexandra David Neel
esploratrice e scrittrice francese, grande sostenitrice del movimento femminista, fu la prima donna occidentale a visitare il Tibet fin a quel momento chiuso agli stranieri. Durante i suoi viaggi in Estremo Oriente, si convertì al buddismo e adottò Yongden, un ragazzo Tibetano di 14 anni che l’accompagnò durante i suoi viaggi. Insieme esplorarono l’India, il Nepal, la Birmania, il Giappone, la Corea, la Cina, ed entrarono due volte clandestinamente in Tibet. Divenne un simbolo dell’emancipazione femminile quando nel febbraio del 1924 riuscì a penetrare nella città santa di Llassa, l’impresa le diede grande notorietà in Europa e negli Stati Uniti.
In un paese magico e incontaminato, il Tibet, una donna, Alexandra David-Néel, si avventura per raggiungere Lhasa, la capitale. È l’autunno del 1920. Alexandra intraprende un cammino difficile, sopportando fame, sete e freddo, superando imprevisti e ostacoli continui, travestita da mendicante tibetana. Niente e nessuno riuscirà a fermare questa donna che, a piedi ed elemosinando, con eroica e ammirevole lentezza, raggiungerà dopo tre anni la meta prefissata. Sarò la prima donna europea a entrare nella città proibita agli stranieri.
Nella sua lunga carriera in cui è stata giornalista, fotografa, orientalista e antropologa, ha scritto più di trenta libri. È stata tra le fondatrici dell’Ordine Massonico Misto e Internazionale Le Droit Humain. Dalla casa dei genitori a Bruxelles raggiunse la Spagna in bicicletta, 1886, all'età di soli diciotto anni. Il suo viaggio proseguì in Francia dove si fermò per un certo tempo presso Mont-Saint-Michel. Trasferitasi in Inghilterra, a Londra, si immerse nello studio delle filosofie orientali, contemporaneamente allo studio della lingua inglese. Lì ebbe modo di conoscere Agvan Dorzhiev inviato del Tredicesimo Dalai Lama e futuro fondatore del primo tempio buddhista in Europa.
“Fin dall’età di cinque anni”, scrive David-Néel “… desideravo andare oltre il cancello del giardino, seguire la strada che lo oltrepassava, e partire per l’Ignoto. Ma stranamente, questo ‘Ignoto’ immaginato dalla mia mente di bambina si rivelava sempre un luogo solitario dove potevo sedermi da sola, senza avere nessuno vicino”. All’età di 16 anni – in un’epoca in cui tale comportamento era scandaloso per una ragazza – scappò più volte dalla sua casa di famiglia a Bruxelles, una volta in Olanda e in Inghilterra, una volta in Italia, poi più tardi in Francia e poi in Spagna. Si interessò alla religione fin dalla più tenera età, e una compagna di scuola le regalò una rivista intitolata Gnose Supreme (conoscenza suprema) pubblicata da una società occulta inglese. Quando a 18 anni decise di studiare inglese a Londra, si mise in contatto con una certa signora Morgan della Società della Gnose Supreme e si accordò per soggiornarvi. Trascorse lunghe ore nella biblioteca della Società, studiando traduzioni di testi cinesi e indiani. Il padre di Alexandra, Louis David, era un protestante francese, un ugonotto, un socialista e un massone. Si oppose alla monarchia di Luigi Filippo, partecipò alla Rivoluzione del 1848 e fuggì in Belgio con il suo amico e compatriota, il romanziere Victor Hugo. Lì si innamorò di Alexandrine Borghmans, una devota cattolica romana che sosteneva la monarchia belga e che per molti versi era il suo opposto. Si sposarono e alla fine tornarono in Francia, e passarono 13 anni prima che avessero il loro primo figlio. M.me David fu amaramente delusa dal fatto che Alexandra non fosse un maschio, e non le prestò quasi alcuna attenzione.
Tornata a Parigi, dove si iscrisse alla Società Teosofica, seguì le lezioni di Lingue Orientali alla Università della Sorbona. In quello stesso periodo si iscrisse o frequentò numerose società segrete, movimenti femministi ed anarchici. Nel 1899 scrisse un saggio anarchico con la prefazione dell'anarchico e geografo Elisée Reclus. Tuttavia l'opera non trovò nessun editore che avesse il coraggio di pubblicarla, fino a quando il suo compagno, Jean Haustont, non decise di pubblicare l'opera a proprie spese. Nonostante passasse del tutto inosservata dalla maggioranza del pubblico, lo scritto di David-Néel si diffuse ampiamente negli ambienti anarchici e venne tradotto in ben cinque lingue, compreso il russo. Nel 1890 - 1891, grazie ad una eredità proveniente dalla nonna materna, viaggiò in lungo e in largo per tutta l'India, dove rimase affascinata dalla musica tibetana e dalle tecniche di meditazione apprese grazie al suo maestro locale, Swami Bhaskarânanda. Con la promessa di fare ritorno in Asia, si trasferì in Africa settentrionale dove si diede allo studio del Corano, e, trasferitasi a Tunisi conobbe l'ingegnere ferroviario Philippe Néel che sposò nel 1904. Ben presto la vita matrimoniale si rivelò insoddisfacente per il suo carattere sempre assetato di novità e viaggi, per questo motivo, d'accordo con suo marito, si trasferì nuovamente in Inghilterra per apprendere in maniera approfondita la lingua inglese, fondamentale per gli studi di orientalistica, di cui era appassionata. Dopo alcuni mesi di studio, si recò in Belgio, per fare una visita alla madre e alla tomba del padre, per fare poi ritorno a Tunisi da suo marito. Sembra possibile che provasse repulsione non per il sesso o gli uomini, ma per i costumi sessuali della sua cultura, in cui le donne funzionavano come appendici decorative per gli uomini, e in cui gli uomini creavano famiglie con le loro mogli, ma trovavano gratificazione sessuale altrove. Ciò che David-Néel potrebbe aver realmente desiderato – anche prima di saperlo – era un legame spirituale con un uomo, che non trovò fino al suo viaggio in Oriente. La sua accettazione del matrimonio prima di allora potrebbe essere stato un tentativo di trovare la stabilità finanziaria di cui aveva bisogno per i suoi studi. In ogni caso, all’età di 36 anni, sposò Philippe Néel, un ingegnere benestante che, nonostante la sua reputazione di donnaiolo, era considerato un buon partito. I primi mesi di matrimonio, durante i quali era spesso lontana dal marito per seguire la sua carriera di scrittrice, furono difficili. Le sue lettere e i suoi diari riflettono un notevole tormento per il passato ribelle del marito e l’ambivalenza sul suo ruolo di moglie. Stava anche diventando sempre più interessata al Buddhismo, scrivendo nel suo diario “la deliziosa ora di perfetto distacco e intima gioia” quando meditava. Néel, che era in qualche modo comprensivo dei suoi sentimenti, le propose il “lungo viaggio” in Oriente.
Dal 1914 al 1916 visse in eremitaggio in una caverna nel Sikkim praticando esercizi spirituali con il monaco tibetano Aphur Yongden che divenne il suo compagno di vita e avventure e che in seguito adottò come figlio. Nel 1916 a Shigatse incontrò il Panchen Lama che la riconobbe come reincarnazione. Impossibilitata a tornare in Europa a causa della guerra si recò in Giappone. Là incontrò Ekai Kawaguchi che nel 1901 aveva visitato Lhasa. Desiderosa di imitarlo, si recò a Pechino e di lì, travestita da tibetana, attraversò la Cina in piena guerra civile e a piedi raggiunse Lhasa. Sempre più spesso arriva a pensare alla solitudine come l’unico modo per approfondire la sua pratica del Buddhismo. Nel 1914 prese la decisione di trasferirsi nel ritiro estivo del Gomchen di Lachen. Questo era il famoso eremo a 13.000 piedi che descrisse in Magic and Mystery in Tibet. Lì fu assistita dal quattordicenne Aphur Yongden, che sarebbe stato il suo compagno per i successivi 40 anni. Ma durante i primi mesi del suo ritiro seppe della morte di Sidkeong, che aveva finalmente preso il trono in Sikkim e che potrebbe essere stato avvelenato dai rivali. Era devastata, così come i Gomchen, che avevano visto Sidkeong come l’unica speranza per la riforma religiosa in Sikkim. Il Gomchen aveva intenzione di iniziare un ritiro di tre anni, ma prese David-Néel come studente. Lui le disse che doveva rimanere “a sua completa disposizione” per un anno. Per una volta lei pensò che valesse la pena rinunciare alla sua indipendenza per un uomo. Trascorse con lui due anni in tutto, studiando il Tantra e la lingua tibetana. Nel 1924, travestita da contadina tibetana, e in beffa ai controlli coloniali, attraversò a piedi la Cina in piena guerra civile, per raggiungere Lhasa. Penetrare clandestinamente in Tibet, fu la straordinaria impresa che narrò nel libro Viaggio di una parigina a Lhassa e che la rese famosa in tutto il mondo. Aveva 56 anni e, indossando le vesti di una khadoma, uno spirito tibetano che protegge dalle sventure, viaggiò senza pericoli e venne ospitata e ben accolta nel suo peregrinare. Scoperta dalla polizia, l’anno successivo fu costretta a tornare in Francia dove ricevette il Prix Monique Berlioux de l’Académie des Sports. Due anni dopo ricevette la Legione d’Onore. Restò in Cina fino al 1946. La sua incredibile vita è stata raccontata in tre volumi dalla sua assistente, segretaria personale e aiutante, indissolubilmente legata a lei dal 1959, Marie Madeleine Peyronnet. Alexandra David Néel morì a Digne, in Provenza, l’8 settembre 1969, aveva quasi 101 anni, era ormai paralizzata e cieca. Nel 1973 la sua assistente portò le sue ceneri a Varanasi e le disperse nel Gange. Marie Madeleine Peyronnet, nata nel 1930, è ancora viva e dirige il centro culturale creato dalla sua casa e memorie. Ha anche scritto un libro in forma di diario Dix ans avec Alexandra David Néel.

Annie Cohen Kopchovsky
conosciuta come Annie Londonderry, fu la prima donna a realizzare il giro del mondo in bicicletta. Partì il 27 giugno del 1894 da Boston percorrendo 15.455 km in bicicletta, viaggiò attraverso gli Stati Uniti raggiungendo Europa e Asia visitando molti luoghi, tra cui Alessandria , Colombo , Singapore , Saigon , Hong Kong ,Shanghai , Nagasaki e Kobe . Dopo il suo ritorno a Boston, Annie si trasferì a New York con la famiglia, qui, firmandosi “la nuova donna” scrisse una serie di storie e reportage per il New York World.
“Sono una giornalista e una ‘nuova donna’, se con questo termine s’intende la mia convinzione di poter fare tutto ciò che può fare un uomo.”
A diciotto anni sposò Simon Kopchovsky, venditore ambulante ebreo ortodosso che aiutava nel suo lavoro occupandosi di vendere spazi pubblicitari per dei giornali locali. Ma la sua condizione le stava probabilmente stretta e, sebbene avesse tre bambini molto piccoli, a ventiquattro anni, decise di tentare un’impresa considerata impossibile per una donna, fare il giro del mondo in bicicletta. Tutto nacque da una scommessa, o forse se la inventò per pubblicizzare il suo viaggio e dimostrare di poter emulare l’impresa compiuta da Thomas Stevens nel 1887. Era un’epoca in cui il desiderio di indipendenza delle donne stava crescendo politicamente e a livello sociale, guidare una bicicletta significava avere un proprio mezzo di trasporto che le rendeva autonome. Nonostante fosse molto minuta, le venne offerto di guidare una bicicletta di marca Columbia di 19 chili che recava sulla protezione della ruota posteriore un cartello pubblicitario della ditta di acque minerali Londonderry Lithia che l’aveva sponsorizzata con cento dollari. Così, l’ebrea Annie Cohen Kopchovsky, in epoca antisemita, divenne Annie Londonderry per compiere l’impresa, ben più che la sfida di una ragazza di 24 anni che vuole dimostrare a se stessa di farcela, la sua è l’impresa di una donna che lotta per l’emancipazione di tutte. Sul finire dell’800 le biciclette, non meno che le lotte per il diritto al voto, stavano rivoluzionando i costumi consentendo alla donne una libertà di movimento insperata e una lenta ma decisiva svolta nell’abbigliamento. Nel 1896 l’attivista Susan B. Anthony arrivava a dire che la bicicletta “aveva fatto di più per l’emancipazione femminile delle donne di qualunque altra cosa al mondo”. Il 27 giugno 1894, alle 11 del mattino partì dalla Massachusetts State House, portava con sé un cambio di vestiti e una pistola col manico di madreperla. Arrivò a Chicago il 24 settembre, aveva perso 9 kg, aveva deciso di rinunciare quando ritrovò la determinazione. Riuscì a dotarsi di una bicicletta da uomo più leggera e agile e cambiò il suo abbigliamento vestendosi con dei calzoncini a sbuffo e tenuta maschile. Arrivata a New York si imbarcò per Le Havre, arrivò a Parigi, è passata per Bordeaux, Marsiglia, girò il Mediterraneo, ha visto Gerusalemme, le Piramidi, Costantinopoli, le grandi steppe dell’Asia, l’India, Hong Kong, Singapore, arrivando fino in Cina e in Giappone, cambiando itinerario per il freddo, salendo su treni e navi a vapore, dando prova di resistenza e di inventiva anche nell’auto promuoversi. Ha superato montagne impervie e paesi sconosciuti, è finita in oscure prigioni e ha conosciuto persone diverse e usanze particolari. Nonostante difficoltà di ogni sorta, divenne un mito e la sua celebrità l’accompagnava nelle sue tappe. È stata ferita da un cavallo imbizzarrito e si è ingessata un polso dopo uno scontro con un branco di maiali.
Il 12 settembre 1895 finalmente arrivò a Chicago e ricevette il premio di 10.000 dollari che le spettava. Aveva compiuto il viaggio intorno al mondo in un tempo minore di quattordici giorni di quello che le era stato accordato. A Chicago arriva a fine Settembre, ha perso peso e ha messo muscoli, ma è stremata e l’inverno è alle porte. Vacilla però ottiene dalla Sterling Cycle Works una nuova bicicletta, molto più leggera. Il modello è da uomo quindi deve cambiare anche abbigliamento. Prima opta per un paio di pantaloni a sbuffo, poi passa addirittura a un completo maschile. Suscita scandalo e riprovazione ovunque arrivi ma anche curiosità. Più determinata di prima, volge il manubrio verso Boston e torna indietro per imbarcarsi a New York e proseguire il giro intorno al mondo. Venditrice brillante e grande affabulatrice, riuscì a raccogliere denaro sponsorizzando prodotti di ogni sorta con spillette e nastri che portava addosso. Vendeva anche le sue foto autografate. Durante i suoi viaggi tenne delle conferenze sulle sue avventure che affascinarono i mezzi di comunicazione e rilanciarono la sua popolarità. Al suo rientro accettò un’offerta per scrivere le sue avventure come nuova donna e si stabilì con la famiglia a New York per continuare la sua carriera nel giornalismo. Annie sfrutta la popolarità per finanziarsi: conferenze, dimostrazioni ciclistiche, concede interviste, vende spille promozionali e foto autografate. La sua bicicletta e la sua stessa persona diventano manifesti pubblicitari: indossa cartelli, nastri e fasce di ogni genere pubblicizzando dalle gomme per le biciclette ai profumi da donna. Le aziende al pari dei giornali se la contendono e lei non dice no a nessuno. Tranne che alle proposte di matrimonio, che fioccano. Da Marsiglia si imbarca nuovamente. Le restano solo 8 mesi per completare il viaggio. Sembra un’impresa disperata ma la scommessa non specifica quanti chilometri debba percorrere in bici quindi ogni volta che può prende una nave per affrontare lunghe traversate. Qualcuno ha parlato di barare. Qualcun altro ha sostenuto che persino la scommessa era solo una trovata pubblicitaria, certo è che ogni volta che mette piede a terra Annie pedala.
Le prime viaggiatrici
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